Rompere le catene del capitalismo, dello sfruttamento, dell’oppressione
data: 01.2001
La rivoluzione proletaria e socialista unica soluzioneLa rivoluzione unica soluzione
Le borghesie imperialiste non hanno alcuna possibilità di fermare il processo inarrestabile di accentuazione delle contraddizioni originate dallo stadio attuale di sviluppo dell’imperialismo. La socializzazione della produzione su scala internazionale ha raggiunto livelli senza precedenti, sviluppando un enorme potenziale di soluzione dei problemi dell’umanità. Lo sviluppo della tecnologia di estrazione e rigenerazione delle materie prime, lo sviluppo della automazione e informatizzazione, la velocità di circolazione e trasmissione delle merci da un capo all’altro del pianeta aumenta a dismisura la capacità di appropriazione dell’uomo delle risorse naturali, dell’uso dialettico della natura stessa al servizio dello sviluppo dell’umanità. Vale a dire ci sono tutte le condizioni per la formazione di un’umanità ricca, per un salto di qualità globale verso soggettività umane padrone di sé.
Ma, a fronte di questo gigantesco sviluppo delle forze produttive, qual è la realtà che le borghesie imperialiste impongono? Mentre le ricchezze sono sempre più concentrate nelle mani di pochi, si sviluppano povertà nuove, in dimensioni senza precedenti nell’epoca moderna, al cui centro è il proletariato, la classe su scala mondiale più espropriata e sfruttata della storia. All’internazionalizzazione e socializzazione della produzione che porrebbe le condizioni per una gestione mondiale di tutte le risorse della produzione, fa riscontro lo sviluppo di nazionalismo, regionalismo, con un portato di privatismo, egoismo individuale, tribalismo, cioè esattamente l’opposto di ciò che le condizioni oggettive permetterebbero.
Al gigantesco sviluppo delle forze produttive, delle tecnologie, ecc., corrispondono la distruzione dell’ecosistema, crisi di approvvigionamento, l’indecente affermarsi di economie neottocentesche o addirittura neomedioevali.
A possibilità senza precedenti di scambi reciproci tra popoli, stati, nazioni, e di cooperazione mondiale, di velocizzazione della trasmissione delle risorse prodotte dai lavoratori nel mondo, si oppone l’infamia delle carestie, della fame, di disastri mondiali dalle conseguenze sempre più tragiche, del disfacimento, anche nei paesi sviluppati, dei sistemi moderni di trasporto e di comunicazione.
Alla possibilità concreta di formazione di un’umanità ricca, corrisponde un’ignoranza diffusa, neo-analfabetismo, perfino la retrocessione dei livelli di intelligenza degli individui, la riduzione dell’umanità a soggetti chiusi, ottusi, sino a forme di neo-bestialismo dilagante, cioè la riduzione delle persone a bestie. Alla possibilità di un’umanità padrona di sé, corrisponde lo sviluppo di una umanità inebetita, schiava di mode e di personaggi, di religioni, dei padri e padroni.
Alla possibilità di trattazione della contraddizione sessuale, con sviluppo qualitativo delle relazioni uomo-donna, di liberazione sessuale connessa al nuovo protagonismo delle donne, corrisponde invece una nuova e più aggressiva oppressone sessuale, il dilagare della perversione, l’accentuarsi della crisi delle relazioni uomo-donna e di tutte le relazioni conseguenti.
Alla possibilità quasi miracolosa di mettere fine alle malattie e perfino di affrontare lo stesso problema della morte, corrisponde il dilagare dell’Aids, la ricomparsa di vecchie malattie, il rischio-salute, come fenomeno generalizzato, il rischio di vere e proprie ecatombe, connesse non solo al rischio nucleare ma anche a quello di disastri “naturali”, di epidemie conseguenze di un disarmo immunologico generalizzato degli esseri umani.
In definitiva, invece che un’umanità padrona di sé, come è sempre più possibile, assistiamo ad un’umanità alienata come mai prima nella storia.
Da qui nasce l’urgenza e la necessità, per tutti gli esseri viventi, di rovesciare il mondo, questa è la ragione della rivoluzione, perché siamo in una condizione in cui è l’insieme degli esseri viventi che ha l’esigenza di rovesciare il mondo. E qui si affaccia oggettivamente sulla scena, per quanto possano essere medio-lunghi i tempi della sua apparizione come elemento determinante e visibile, la porta stretta della rivoluzione mondiale come unica soluzione.
Rivoluzione proletaria, perché il proletariato mondiale è la principale classe che ha interesse a rovesciare il mondo.
Rivoluzione socialista, perché il socialismo corrisponde all’esigenza pratica, data dallo sviluppo delle forze produttive, della socializzazione della produzione, dalla concentrazione delle ricchezze, di soluzione pratica dei problemi. Perché solo il socialismo risolve il problema di porre tutta la ricchezza concentrata al servizio dell’umanità, e solo il socialismo è il modo di produzione che corrisponde ai livelli di socializzazione e internazionalizzazione esistenti su scala mondiale.
Rivoluzione socialista, infine, perché è tale lo sviluppo delle contraddizioni, che anche la soluzione di problemi piccoli richiede forme di cooperazione sociale alta, in quanto la socializzazione è soluzione dei problemi individuali e cura delle forme degenerative dei problemi individuali stessi. La socializzazione è la sola forma che corrisponde alle dinamiche della transizione, affinché non solo singoli soggetti siano bersaglio e strumento di un processo di trasformazione, ma l’intera società, l’intera socialità presente nella struttura sociale.
Le tre montagne ostacolo e bersaglio della rivoluzione
Tre montagne ostacolano l’urgente necessità del passaggio per la porta stretta della rivoluzione. Le prime due montagne, sarebbero la stessa ma è bene distinguerle, la terza è in parte ostacolo in proprio, in parte falsa risposta alle prime due:
Le prime due montagne fanno da tappo allo sviluppo delle soluzioni dei problemi del proletariato innanzitutto, ma anche dell’intera società nel suo complesso. La rivoluzione è in primo luogo l’abbattimento [di] queste due montagne, il rovesciamento del sistema capitalista e imperialista, degli stati e governi, forma politica del sistema.
Il riformismo è la terza montagna da abbattere. Integrato strettamente nel sistema capitalista e imperialista e nella sua articolazione in stati e governi, il riformismo non è una soluzione. Esso propone né più né meno che la “democratizzazione della globalizzazione”, la fede in un imperialismo buono e democratico, una visione propria solo ed unicamente di frazioni del capitale, in questo senso il riformismo è l’ala sinistra del capitale.
Quando diciamo sinistra del capitale intendiamo un concetto dinamico, legato allo sviluppo del capitale, alla concorrenza e alla contraddizione in seno ad esso, che produce continuamente potenze dominanti e potenze più arretrate, frazioni capitalistiche avvantaggiati dagli assetti governativi e statali e frazioni capitalistiche svantaggiate. Sono queste frazioni capitalistiche svantaggiate che vestono i panni dell’imperialismo “buono”, della democratizzazione. In questo senso il riformismo è frazione del capitale, non ala destra del movimento operaio.
Filiazione diretta del riformismo è l’utopia infantile e senile autogestionaria, che altro non è l’autoghettizzazione della democratizzazione della vita quotidiana, in una sorta di enclave interna al sistema del capitale dal volto umano. Utopia infantile e senile allo stesso tempo: infantile perché propria dei figli del capitalismo, della classi capitaliste, delle classi borghesi nella loro fase infantile; senile perché propone soluzioni davvero già vecchie, sconfitte e antiche.
La rivoluzione non solo è l’unica soluzione pratica ai problemi del proletariato, in quanto la soluzione dei problemi del proletariato coincide con la soluzione dei problemi di tutti gli esseri viventi, perché l’acuirsi della polarizzazione tra possibilità e realtà è tale che la situazione non può che esplodere, perché quello che è in discussione è l’avanzamento degli esseri viventi in quanto tali. Ciò vuol dire anche che se non ci sarà avanzamento ci sarà arretramento.
L’ora del partito
Operai senza partito
Senza partito il proletariato non ha peso soggettivo nella lotta politica per la conquista del potere.
La classe operaia esiste, lotta e si contrappone ai padroni, ai governi, allo Stato del capitale, senza che per fare questo sia necessario un suo partito. Ma tutta l’esperienza storica dimostra che la classe senza il suo partito non è in grado di avere un peso soggettivo nella lotta politica e sociale, non è in grado affermare un punto di vista di classe su tutte le questioni, non è in grado di indirizzare e dirigere la sua lotta verso la conquista del potere politico, l’instaurazione di uno Stato nelle proprie mani, l’edificazione di una società a misura dei suoi interessi di classe.
É quando, grazie all’opera di Marx, ha avuto inizio il percorso della costruzione cosciente e scientifica del partito proletario, che il movimento operaio si è tramutato nello spettro che agita ancor oggi i sonni della borghesia. Ha pesato nella lotta politica e ha avuto la sua prima esperienza di potere con la Comune di Parigi. E’ quando, l’opera di Marx ed Engels è stata magistralmente applicata e sviluppata da Lenin in rottura con il revisioniamo e l’opportunismo, con la Rivoluzione d’Ottobre la classe ha dimostrato di poter pesare e prendere il potere, ma anche di poter istaurare la dittatura del proletariato ed avanzare verso la costruzione del socialismo.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, per tutto il periodo della III° internazionale, il proletariato ha determinato gli eventi della lotta politica in ogni paese e su scala internazionale perché aveva i suoi partiti e la sua internazionale comunista, perfino quando non c’era una strategia rivoluzionaria fino in fondo o non erano in grado di attuarla e, in taluni casi, perfino quando la direzione di alcuni partiti cominciava a degenerare in forma revisionala. In Italia, anche nel dopoguerra fino agli inizi degli anni 60, la direzione del PCI era già entrata in una fase di acuta degenerazione revisionista, ma l’esistenza di un partito a cui la classe si riferiva e che con la sua lotta influenzava ha permesso alla classe operaia di pesare in certa misura negli eventi politici: la lotta contro il regime democristiano, il luglio ‘60, l’antifascismo, stanno lì a testimoniarlo.
Il divorzio tra classe e partito
Se il divorzio strategico tra classe operaia e PCI si realizza nel dopoguerra, con il salto e cambio di natura, fondamentale è l’affermarsi della “via italiana al socialismo” nel ‘56; è dalla metà degli anni ‘60, e in particolare coi biennio rosso 68/69, che si realizza anche un divorzio anche di massa pratico tra il, partito che la classe aveva come riferimento e il movimento della classe per il partito.
Nell’autunno caldo, nel cielo di lotte dei primi anni 70, si dimostrava definitivamente che il PCI non era più arma della classe in nessuna misura, né sul piano strategico né dei suoi interessi immediati, m’a che anzi vi si contrapponeva.
Per il proletariato diventa urgente la ricerca di un nuovo strumento che gli permetta di agire in maniera indipendente nella lotta politica nella prospettiva della conquista del potere.
L’offensiva controrivoluzionaria vincente di borghesia e revisioniamo
Per schiacciare il movimento operaio e di massa potenzialmente rivoluzionario, espressosi negli anni ‘70, per allontanare la prospettiva dell’emergere di un nuovo soggetto politico del proletariato, la borghesia con la complicità del revisionismo, sviluppa una offensiva controrivoluzionaria per combattere lo spettro della rivoluzione e del partito rivoluzionario dovunque questo apparisse: ora nei gruppi spontaneisti, quali Lotta Continua e Potere Operaio, ora nei gruppi m-l, e infine, in maniera ancora più potente, nell’emergere e affermarsi delle BR. Lo combatterono perché dopo il divorzio tra PCI e movimento operaio questa prospettiva appariva sempre più matura.
La borghesia e il revisioniamo ottengono risultati tattici vincenti in questa offensiva, e ciò genera un riflusso soggettivo e oggettivo del movimento operaio e rivoluzionario; ma la maturità delle condizioni oggettive e soggettive sul piano strategico, fa sì che questa offensiva abbia durata breve e la prospettiva della nascita del nuovo partito rivoluzionario del proletariato, torna ad emergere e a “turbare i sogni” di pacificazione della borghesia.
Il partito è autonomia di classe
Siamo dunque in una fase successiva alla sconfitta tattica, in cui occorre ripartire e avanzare affermando alcuni concetti di fondo.
Dopo la vittoria temporanea dell’offensiva controrivoluzionaria congiunta di borghesia e revisioniamo è cominciato il percorso nuovo, all’interno del quale possiamo delineare due anime:
I nuclei operai di resistenza generale
Alla offensiva borghese e revisionista sopravvivono realmente nel tessuto reale della classe operaia non organizzazioni nazionali, ma nuclei operai che hanno sviluppato una resistenza che chiamiamo generale perché non è stata solo un movimento di difesa sul terreno della lotta sindacale, ma anche di resistenza politica con forme embrionali di resistenza ideologica e teorica. Questi nuclei hanno cercato di mantenere viva anche una posizione di opposizione politica contro la politica del capitale e dei suoi partiti, dei suoi governi; e una forte resistenza pratica sui luoghi di lavoro che si è espressa nella sua forma più avanzata nella nascita dei Cobas, in particolare quelli delle fabbriche.
I gruppi rivoluzionari che fanno riferimento alla classe operaia
Come Lenin ci insegna nel Che fare?, la fusione tra i gruppi rivoluzionari e le avanguardie operaie, è sempre stata una condizione necessaria per la formazione del partito. Al risultato della nascita dell’avanguardia operaia che fa il partito portano due percorsi che, pur procedendo verso la stessa direzione, si muovono secondo due processi inversi.
Lenin ci insegna nel Che fare? che il socialismo nasce tra quegli intellettuale (gruppi rivoluzionari) che tradiscono la loro classe di provenienza e si riferiscono alla nuova classe che emerge; vale a dire che essi si liberano dell’influenza ideologica, politica delle classi dominanti dalle quali provengono, per fondersi con le avanguardie operaie (nuclei di resistenza). Se per i gruppi rivoluzionari il processo è di liberarsi per fondersi, da parte degli operai il movimento verso questa fusione si verifica secondo un processo inverso: i nuclei di resistenza operaia nella loro lotta cercano di elevarsi per incontrare i rivoluzionari.
Al centro del processo di costruzione del partito non ci possono quindi che esserci la liberazione dall’influenza dell’ideologia della classe dominante dei rivoluzionari e l’elevazione della coscienza di classe dei proletari.
Autorganizzazione sociale senza Partito
Nei processi di crisi e di sconfitta degli anni ‘80, proletari, giovani, militanti, ecc, che volevano combattere la borghesia e il revisioniamo ma che non si riconoscevano nei gruppi rivoluzionari, hanno dato vita a forme autorganizzate di lotta e di opposizione politica. Questo è ciò che é stato chiamato autorganizzazione, percorso vissuto in forme più o meno organiche ma diffuso in organismi di base, nei centri sociali,ecc.
Anche queste forme di autorganizzazione hanno compiuto il loro ciclo e sono andate in crisi. Si è sviluppato un processo di ripetute sconfitte pratiche, di infiltrazioni dell’avversario di classe e di degenerazione dei gruppi diligenti che hanno portato, in molti casi, a dei veri e propri passaggi al campo avversario di interi spezzoni dell’autorganizzazione (Leoncavallo e Centri Sociali del Nord-Est). Altre invece, pur restando nel campo dell’antagonismo sociale, non hanno saputo trovare la strada della rivoluzione proletaria, perché per limiti di classe e di formazione non hanno compreso che é il Partito la forma superiore dell’autorganizzazione proletaria ed é attraverso la sua direzione che il movimento organizzato delle masse può sviluppare l’antagonismo vincente. Ma deve essere un partito rivoluzionario di tipo nuovo che sia capace di ricerca e risposta alla necessità di una teoria che risponda ai bisogni attuali, di una politica rivoluzionaria che sia un mezzo per incidere e trasformare la realtà e non strumento di nuovi ceti politici rifornisti e opportunisti, e di un’organizzazione rivoluzionaria che raccolga le migliori energie espresse dalla lotta e le organizzi in un luogo collettivo non oppressivo e omologante di trasformazione secondo la concezione proletaria del mondo.
Donne senza partito
Nel quadro generale della classe e dei suoi movimenti di lotta, nell’arca dell’autorganizzazione, tra i comunisti emerge ed esiste l’esigenza di un nuovo protagonismo delle donne proletarie, delle giovani rivoluzionarie, delle compagne, il bisogno di superare i limiti angusti che le forme organizzate esistenti hanno di fatto loro imposto. Emerge tra le compagne una certa sofferenza per politiche pratiche ed ideologie che invece di favorire soffocano le loro energie e potenzialità rivoluzionarie.
E’ necessario che queste esigenze vengano raccolte ed organizzate contro il femminismo piccolo borghese da un lato, e in distinzione dalle concezioni meccaniciste e riduzionistiche presenti nelle organizzazioni rivoluzionarie e marxiste-leniniste dall’altro.
Il movimento femminista degli anni ‘70 ha avuto il merito di mobilitare masse consistenti di donne, producendone protagonismo, lotta e visibilità politica, incarnandone sia pure nei limiti della sua composizione di classe, bisogni e interessi, svelando il ruolo dell’oppressione sessuale e la natura maschilista e sessista della società capitalistica e il ruolo della famiglia come cellula fondante la subalternità femminile. Ciò ha determinato una rottura con la prassi riformista e revisionista del PCI, che aveva ridotto e ghettizzato l’eroica esperienza delle compagne partigiane combattenti e abitanti del partito nelle sterili commissioni femminili; ma nello stesso tempo ha evidenziato e messo in crisi il ruolo subalterno delle compagne all’interno delle organizzazioni comuniste e rivoluzionarie.
Nella fase del riflusso del movimento agli inizi degli anni ‘80 si é consolidata l’egemonia del femminismo borghese e piccolo borghese sull’intero movimento con l’assunzione delle teorie della “differenza” e dell’”affidamento” e il conseguente sviluppo della pratica politica del “separatismo”. Ciò ha segnato nei fatti autoghettizzazione delle donne e avviato processi di svuotamento della carica esplosiva rivoluzionaria della fase iniziale.
Queste teorie negando, l’origine storicamente determinata della differenza sessuale, fondata sulla nascita della proprietà privata e della divisione in classi, ponendola invece come condizione naturale, originaria, e in tal senso immutabile, perseguono l’obiettivo non del cambiamento radicale di questa società ma della sua pacificazione/trasformazione grazie allo sviluppo di una teoria e pratica femminile da imporre alla 46 società maschile”. Questa elaborazione rispecchia il bisogno delle donne e femministe borghesi e piccolo borghesi di contare di più, di ritagliarsi ambiti sempre più consistenti di potere all’interno di questo sistema borghese; si comprende così la parabola discendente e reazionaria di queste donne che oggi fiancheggiano i governi, partiti, istituzioni che quotidianamente attaccano i più elementari diritti delle donne, in generale e delle proletarie in particolare, riproponendo con teorie quali la fine del Patriarcato, le forme modernizzate dell’oppressione sessuale.
Politica e classe/linea di massa per la conquista dell’avanguardia operaia alla costituzione
Lotta all’economicismo
Nel movimento operaio, lo scontro frontale è con gli economicisti. Che cosa sia l’economicismo ce lo spiega il Che fare?:
Sottovalutazione della teoria
Gli economicisti di tutti i tipi sottovalutali o la teoria come arma, negano che l’organizzazione di classe degli operai si deve basare su di un progetto per il socialismo, o sostenendo che il movimento è tutto e a progetto è nulla, o riducendo il progetto a movimento. In realtà oggi è necessaria una politica di classe finalizzata ad un progetto per il socialismo, nella prospettiva del potere proletario e della trasformazione socialista perfino per rendere di classe la stessa lotta sindacale e sociale quotidiana.
Non comprensione del rapporto tra spontaneità e coscienza
Gli economicisti teorizzano che la lotta delle masse via via si sviluppa sino a diventare lotta cosciente. Al contrario, la lotta cosciente è frutto di una deviazione dal percorso della lotta spontanea, perché la lotta spontaneamente evolve nel tradeunionismo e nel riformismo e perfino nella politica reazionaria. Non è estendendo il movimento dell’autorganizzazione di classe, che questo sarà di per sé più cosciente. Il risultato dipende invece dall’indirizzo, dalla deviazione, dal rapporto tra spontaneità e coscienza.
Identificazione dell’economico col politico
Gli economicisti identificano l’economico con il politico, ogni lotta economica diventa anche lotta politica e ogni lotta politica si riduce alla lotta economica. Si approda così al sindacalismo, al laburismo, alla negazione o quantomeno sottovalutazione della necessità che l’avanguardia operaia si dia un Partito e, nello stesso tempo, si rende l’autorganizzazione di classe settaria nella lotta di rivendicazione e filo- riformista o neolaburista nella lotta politica.
Negazione dell’organizzazione autonoma del proletariato come organizzazione di capi del proletariato
Con la teoria di un’organizzazione senza capi, gli economicisti riducono quelli che sono stati nuclei forti della storia e dell’identità di classe, ad esempio dei Cobas di fabbrica, ad uno strato di sindacalisti con stile di lavoro impiegatizio, che espropria di ogni funzione sia la base che i capi, e nega anche ai capi verificati degli operai un ruolo di direzione nelle forme organizzate. L’altra forma di questa negazione economicista ignora che la classe nella sua lotta produce i suoi capi attraverso l’organizzazione d’avanguardia e il partito proletario.
Negazione del giornale come giornale politico nazionale
Si può definire oggi “giornale” tutto ciò che realizza quella funzione indicata da Lenin come propagandista, agitatore e organizzatore collettivo, che concretizza la politica degli operai, la ricerca di una sponda, la presa di posizione politica autonoma degli operai rispetto ai fatti politici e la loro azione politica autonoma. Gli economicisti contrappongono a tutto ciò strumenti di comunicazione di un’organizzazione che vorrebbe essere sia economica che politica, ma che non dice quale politica voglia fare e che al massimo fa politica in forme ora neoistituzionali, ora moralistiche ecc., a seconda del personaggio in voga al momento. Gli economicisti sviluppano la politica del riformismo, della piccola borghesia, non degli operai.
Politica di classe è rapporto tra:
Direzione dell’esperienza concreta della lotta politica
Per conquistare gli operai non basta indicare una politica, occorre dirigere nella lotta politica spezzoni concreti e avanzati del movimento operaio. Per tale fine due sono le condizioni necessarie:
Direzione delle lotte sindacali.
Si tratta di direzione delle lotte operaie concrete. Contro tutti i gruppi illuministi, educatori, propagandisti ecc., affermiamo che nessuno può dirigere la politica degli operai se non è riconosciuto da questi grazie alla direzione delle sue lotte quotidiane. Gli operai non riconoscono una direzione politica in quanto depositaria della Soluzione, ma sulla base conoscenza e fiducia che questa si è conquistata sul campo e nella lotta.
Esplicitazione della politica all’interno delle lotte sindacali.
E ovvio che in ogni lotta concreta ci sono elementi politici. Ad esempio, lottare contro la finanziaria contiene sicuramente un elemento politico di lotta contro il governo. Ma, a differenza di ciò che affermano gli economicisti, noi diciamo che solo facendo leva e trasformando questi aspetti, eleviamo la coscienza e trasformiamo questa lotta in lotta politica.
Ma quelle che abbiamo appena esposto sono delle condizioni necessarie ma non sufficienti, la lotta politica è oltre questo.
Classe e stato
Lotta politica è scontro degli operai con gli apparati dello stato, non altro, forma pre-militare dello guerra tra classe e stato e, in un contesto di integrazione dei partiti nello stato, tra classe e partiti, spesso separarsi dal riformismo, scendere in piazza contro il riformismo è, sul piano dello scontro oggettivo delle classi, una metafora dello scontro tra classe e stato. li Partito è quello che trasforma la lotta sindacale in lotta contro lo stato borghese e, quando ciò non avviene ancora sul piano militare, la lotta contro lo stato vive nella lotta contro il riformismo, lotta che va concepita come una guerra, non quindi lotta tra posizioni. La lotta tra posizioni è la fase che serve per dimostrare che loro sono con lo stato e noi siamo contro, mentre lotta politica è elevare questa lotta a guerra di classe.
Classe, movimenti, di classe e borghesia imperialista.
La politica non comincia quando noi l’iniziamo a fare. E questa l’ideologia del piccolo borghese, secondo cui le cose nascono quando lui le capisce, è in ritardo e crede di aver inventato chissaché. La classe non comincia a fare politica solo dopo che si è organizzata alla politica, la fa sempre e comunque, perché essa e la sua lotta stanno dentro la politica, giornalmente, nello scontro di classe che giornalmente si produce e riproduce.
Quando la classe non si riescie a muovere come movimento organizzato, perché ancora non è forte politicamente, la politica di classe cammina su altre gambe e noi rappresentiamo la classe. Noi che facciamo politica tutti i giorni su tutti gli eventi che riguardano la lotta di classe esprimiamo la posizione della classe. Chiaramente, lavoriamo per fare di settori concreti della classe i protagonisti della lotta politica La classe come movimento tramite il suo P. deve prendere posizione sui movimenti di lotta e sul loro rapporto con borghesia. Tra tutti i movimenti di classe e la borghesia. Ovviamente preferiamo quelli già di carattere antagonistico ma, se questi non ci sono, noi non restiamo neutri, mai. Politica di classe è leggere con un’ottica di classe lo scontro politico tra le classi, ogni scontro politico. Questo serve per guidare la classe nella lotta politica: ad esempio, portare operai ad una assemblea degli immigrati, ecc.. Questo significa che la classe interviene, prende posizione, si intriga, si crea una condizione più favorevole al suo avanzamento cosciente.
In certe fasi gli operai sono rappresentati da altri movimenti di classe. Non necessariamente, per essere di classe, un movimento deve essere formato da operai. Questa è sociologia. La forma ideale è sempre così, nelle fasi rivoluzionarie è così. Ma il problema è l’interesse di classe, il modo in cui, nello scontro tra proletariato e borghesia, in ogni determinato momento concreto, si manifesta l’interesse di classe.
Soluzione ai problemi della lotta di classe e delle classi
Il proletariato si batte per un progetto sociale che può trasformare in fatti e risultati quando ha il potere. Tuttavia, i proletari quotidianamente vivono discutono e operano in una situazione in cui emergono problemi non solo “della classe”, ma dell’intera società. Dunque, se la soluzione generale ai problemi è il socialismo e se solo col potere le soluzioni particolari sono possibili, il proletariato deve comunque, qui e ora, dire la sua. Fermarsi alle eterne premesse è bordighismo. É anche dal modo in cui dice la sua sui problemi delle classi e della lotta di classe che il Partito educa gli operai alla politica proletaria e al potere proletario. Perciò, anche l’indicazione di soluzioni che restano limitate, sporche e infelici, e comunque non praticabili senza il potere, a problemi che in certi momenti attraversano tutta la società è parte dello sviluppo e affermazione della politica di classe.
Il proletariato, unica classe rivoluzionaria sino in fondo
É scientificamente vero e dimostrato che il proletariato è l’unica classe rivoluzionaria sino in fondo. Perché, per la posizione che occupa nella produzione e nei rapporti di produzione, è la classe che, appropriandosi dei mezzi di produzione su scala mondiale, ha, essa sola, la possibilità di rivoluzionare e risolvere i problemi dell’intera società mondiale e realizzare il comunismo.
All’interno del proletariato lo strato centrale è formato dagli operai industriali della grande fabbrica.
Il proletariato è l’unica classe che può costruire un Partito Comunista e su cui il PC si può basare. Il proletariato però si muove dentro uno sviluppo disuguale. La sua geografia è disuguale, diversa da paese a paese, e finisce perfino per essere disuguale da fase a fase. Costruiamo il partito del proletariato di un determinato paese, e in determinato momento storico. Non basta che il partito comunista si definisca del proletariato, esso deve individuare il “soggetto rivoluzionario”, lo strato operaio decisivo e trainante all’interno del proletariato. Deve cioè individuare in quale parte del proletariato deve radicare il processo rivoluzionario.
E questo ha a che fare con lo sviluppo disuguale della composizione del proletariato. Siamo in presenza di un mutamento e rivoluzionamento costante del sistema produttivo, causato dalle crisi, dalla concorrenza nel mercato mondiale e dei processi di ristrutturazione da questi derivanti. Il concetto di proletariato non può che essere dinamico, ma è chiaro che: il Partito del proletariato si basa sugli strati più sfruttati di esso, e che gli strati più sfruttati non sono i “più poveri”, ma le moderne concentrazioni operaie dove si sviluppa lo sfruttamento più “scientifico” del proletariato; il partito deve concentrare in sé il meglio della classe operaia, ma non è la fotografia della classe stessa.
Proletariato e aristocrazia operaia.
Tutta una serie di figure, ad esempio nel lavoro informatizzato, fanno parte del proletariato ma, allo stato attuale, possono essere inserite nella categoria dell’aristocrazia operaia. La loro dialettica è quella dell’aristocrazia operaia: hanno modi di vita assimilabili a quelli della piccola borghesia, sono oggettivo puntello dell’imperialismo ecc. Possiamo dire con certezza che anche in Italia esiste un settore cospicuo di aristocrazia operaia, ma l’Italia non è paragonabile né agli Usa, né al Giappone, né alla Germania. Le dimensioni dell’aristocrazia operaia in paesi come l’Italia sono inferiori. Dunque in Italia il proletariato non può essere considerato come costituito da una “gigantesca aristocrazia operaia”, per cui il soggetto rivoluzionario andrebbe ricercato fuori della classe operaia.
Proletariato nazionale, proletariato multinazionale
Nei paesi imperialisti assistiamo ad un massiccio fenomeno di immigrazione, al progressivo consistente inserimento degli immigrati nei meccanismi della produzione. Ma continua ad esistere un proletariato nazionale distinto da un proletariato multinazionale. In Italia il partito non può basarsi, come settore centrale, sugli immigrati, neanche sullo strato operaio degli immigrati, perché questo pur essendo importante non ha nel nostro paese una posizione maggioritaria e neanche decisiva nelle dinamiche dello scontro di classe, come richiederebbe per una sua definizione di soggetto rivoluzionario.
Proletariato dei paesi imperialisti, proletariato dei paesi oppressi
Il proletariato dei paesi imperialisti e quello dei paesi oppressi fanno entrambi parte di un’unica classe internazionale e come tali devono essere uniti anche a livello politico; tuttavia non possono essere considerati tutti indistintamente parte di uno stesso partito “internazionale”. Essi vivono condizioni differenti e hanno compiti rivoluzionari differenti all’interno del processo della Rivoluzione Proletaria Mondiale. L’unica forma di unità internazionale che può assolvere ai compiti dell’unificazione dei diversi segmenti nazionali del proletariato è l’Internazionale Comunista.
L’avanguardia proletaria
La conquista dell’avanguardia del proletariato è il cuore del Partito rivoluzionario in tutte le fasi della sua costruzione. L’avanguardia del proletariato è una mistura di elementi oggettivi e soggettivi in mutazione. Elementi oggettivi, espressi dalla composizione del proletariato in una determinata fase (si tenga qui presente quanto abbiamo detto sul soggetto rivoluzionario, che va identificato di fase in fase). Elementi soggettivi, connessi al grado di memoria ed esperienza di lotta politico sociale.
L’avanguardia proletaria è l’avanguardia dotata di memoria storica; non basta essere soggetto rivoluzionario di fase, occorre far propria la memoria storica. Il divorzio tra Pci e movimento della classe per il P, che abbiamo già citato, ha comportato anche il divorzio politico tra il soggetto rivoluzionario proletario e memoria storica. Nel nostro lavoro di conquista dell’avanguardia del proletariato al Partito, dobbiamo ricomporre questi due elementi, soggetto rivoluzionario e memoria storica. Ciò vuol dire, in particolare, ricomporre la memoria storica delle lotta operaie del ciclo 68-80 con la nuova classe operaia delle nuove concentrazioni operaie del nostro paese.
In questo senso combattiamo le concezioni da “anno 0” del movimento operaio, che consideriamo fondamentalmente disfattiste ed economiciste in quanto negano teoria, pensiero e storia accumulate, e sono quindi sostanzialmente sociologiche in quanto riducono l’analisi del soggetto rivoluzionario alla sociologia del soggetto rivoluzionario. Queste sono teorie da intellettuali piccolo borghesi anche quando vengono espresse da gruppi operai.
La costruzione del Fronte Unito
Le classi
La nostra concezione del Fronte Unito sì basa sull’analisi delle classi. Su scala mondiale, l’analisi delle classi comporta la distinzione tra i differenti paesi nello scenario mondiale. C’è un primo mondo, costituito da un piccolo numero di paesi imperialisti, c’è un altro gruppo di paesi, che empiricamente possiamo definire secondo mondo, che comprende i paesi capitalistici che non rientrano nel novero ristretto delle potenze imperialiste e quelli di nuovo capitalismo sviluppatisi nei diversi scacchieri; c’è un’altra schiera di paesi, che possiamo chiamare terzo mondo che comprende sia i paesi che non sono entrati nei processi di sviluppo di nuovo capitalismo sia quelli ridotti alla condizione di neocolonia e di mera sopravvivenza, che altri definiscono comunemente “quarto mondo”.
Possiamo dire che il nucleo dei paesi imperialisti appare relativamente stabile, formato più o meno sempre dagli stessi paesi, che sono in condizione di relativa stabilità interna; il numero dei paesi di nuovo capitalismo si è allargato, mentre il numero dei paesi dipendente dal capitalismo e oppressi dall’imperialismo si è ristretto, ma raccoglie ancora gran parte della popolazione mondiale.
I paesi imperialisti sono quelli in cui sono più difficili le condizioni della rivoluzione, ciò però non vuol dire che manchino. I paesi del terzo mondo sono l’evidenziazione che la contraddizione principale del mondo contemporaneo è quella tra imperialismo e popoli oppressi. Nel quadro di questa analisi del mondo, il FU mondiale è costituito dall’alleanza tra proletariato rivoluzionario e le sue lotte rivoluzionarie e ì popoli oppressi dall’imperialismo e le loro lotte dì liberazione nazionale.
La nostra analisi non coincide in nulla con la “teoria dei tre mondi”, addebitata a Mao ma che in realtà di Deng, secondo cui la lotta di classe a livello mondiale si fonda sull’alleanza tra i paesi del secondo mondo, di cui allora è considerata parte la stessa Europa, e quelli del terzo mondo, contro il primo mondo delle superpotenze imperialiste. Era ed è la teoria dell’emergente socialimperialismo cinese, che punta ad alleare a sé l’Europa contro le superpotenze, oggi USA, per porsi come potenza concorrente ed assumere un ruolo egemonico sui paesi del terzo mondo.
In seno a ciascun paese occorre sviluppare una specifica analisi delle classi, che dipende dalla collocazione di quel paese. Venendo all’Italia, noi consideriamo che ci sono solo due classi fondamentali: il proletariato e la borghesia. Por dirla in breve, noi consideriamo che classi alleabili, in forma stabile e con prospettive strategiche, al proletariato nel nostro paese non ce ne sono. Ciò che esiste è una gigantesca frammentazione e stratificazione all’interno delle classi. Non basta parlare infatti di classi, occorre precisare analizzando anche strati sociali, gruppi sociali, ceti sociali ecc.
In forma instabile e’in senso tattico, di fase in fase, esiste invece una forte dinamica interna alle classi, esiste la costante possibilità di staccare ceti, gruppi e strati sociali dal blocco sociale della borghesia imperialista, esistono articolate possibilità di disgregare il consenso intorno a essa di tanti strati e gruppi sociali. Quindi possiamo staccare disgregare, ma non alleare sulla base di un interesse comune.
Per questo il programma del FU è il potere proletario. Anche se è giusto chiamare FU il fatto che si stringono intorno al proletariato ceti, gruppi e strati sociali, ciò non vuol dire che il programma di questo FU possa essere qualcosa di diverso dalla dittatura del proletariato.
Ovviamente, come nella dittatura borghese vanno distinti regimi da governi, così occorre distinguerli anche nella dittatura del proletariato. Il regime della dittatura del proletariato è il regime della transizione socialista, in cui continuano ad esistere classi, scontri di classi, disgregazione e aggregazione. Nel quadro di questo regime vi possono essere quindi governi che valorizzino il ruolo di gruppi e strati sociali che si ha interesse, in una determinata fase, a stringere intorno al proletariato per conquistarli e trasformarli. In questo senso è necessario distinguere il programma del FU dal programma del Partito per la rivoluzione, nella rivoluzione, nella conquista del potere: non come differenza strategica, ma come questione dialettica e tattica.
La direzione
Come si esercita la direzione proletaria del FU? Sulla base di quanto detto, il proletariato la esercita tramite il Partito, in quanto rappresentante esclusivo dell’interesse della classe. Noi non ammettiamo l’esistenza di altri partiti nella classe La direzione proletaria del P si articola in tre elementi:
L’egemonia. La classe operaia deve dirigere tutto, in particolare, come insegna la GRCP, anche nella fase della costruzione e sviluppo del fronte unito per la rivoluzione, nelle mani del proletariato devono essere: i mezzi di informazione e stampa, gli apparati formativi, gli apparati ideologici, perché perderne il controllo comporterebbe la perdita della direzione della rivoluzione. Questi devono essere diretti e gestiti dal proletariato nella forma dell’egemonia del Partito sul Fronte Unito.
Il metodo democratico. Nei paesi imperialisti di lunga tradizione democratico borghese non è possibile passare repentinamente da tanta democrazia apparente a dittatura aperta. Anche nel FU per la rivoluzione occorre tenerne conto. È possibile quindi la permanenza delle elezioni e delle rappresentanze di altri strati sociali, le elezioni però acquistano lo stesso senso che hanno nella democrazia borghese: scegliere quale rappresentante della classe dominate, nel nostro caso il proletariato, debba esercitare la direzione. Le cariche del FU in questo senso devono essere elettive e le strutture legislative devono vedere la rappresentanza dei diversi gruppi e strati sociali alleati. t dannoso, al contrario, che le rappresentanze delle altre classi, si travestano da proletari e da comunisti nel P. e nella dittatura proletaria.
L’esercizio della forza. Definiamo esercizio della forza la militarizzazione popolare e, al suo interno, la direzione del Partito militarizzato. É questa sempre la chiave che permette di mantenere la direzione nelle mani del proletariato nella rivoluzione e difendere poi in ogni circostanza il regime della dittatura proletaria
Politica e programma - per la dittatura proletaria
Se non esistono classi alleabili al proletariato in forma stabile e con prospettiva strategica, se non ci sono interessi comuni stabili tra gruppi e strati sociali che noi possiamo alleare al proletariato, è evidente che la base del Fronte Unito non è strutturale ma politica, a differenza di quanto avviene nei paesi oppressi dall’imperialismo. In paesi come il nostro, il FU è un fronte politico, da costruire con la politica, non sulla base della rappresentanza sociale, ma sulla base di quella politica. Gruppi e strati sociali sono cementati nel FU sulla base della loro collocazione essenzialmente politica dentro lo scontro di classe con la borghesia imperialista. É la politica l’aspetto decisivo del FU.
Quello del FU è un programma politico di fase che non deve contraddire gli interessi della politica generale, ma che non si identifica coi programma politico generale, è un programma che vive dentro la lotta al blocco sociale della borghesia imperialista nella dialettica distruzione-costruzione. Esistono per lo meno quattro problemi a cui il processo rivoluzionario nel nostro paese deve dare risposte, che sono la stessa ragion d’essere del FU:
Contare sulle proprie forze e mercato mondiale
L’Italia è parte dell’Europa unita e della Nato. Lo sviluppo di un processo rivoluzionario in questo paese, sin dal primo momento, deve muoversi all’interno di una dialettica in cui, mentre la rivoluzione conta sulle proprie forze nella lotta per il potere, tiene conto che tutti gli imperialisti e la Nato si uniscono per schiacciarla. La risposta a questa prospettiva è la politica del FU con cui si attraggono forze gruppi, strati e ceti sociali, che possono riconoscersi nel programma del FU che sa trattare la contraddizione, dividere il nemico, neutralizzarne una parte, sconfiggerlo.
La conservazione di forme di economia privata
Lo stesso vale per la conservazione di forme di economia privata. Come è ovvio, il programma del FU è la socializzazione economica. Ma per vincere questo programma dovrà, di fase in fase, anche all’interno, isolare il nemico principale, conquistare alleati ecc., e questo si riflette politicamente nel programma del FU per il potere, che può contemplare il mantenimento di alcune forme di economia privata, utili alle alleanze necessarie. Politicamente, cioè come riflesso della necessità politica di un fronte politico.
La dialettica cooperazione-socializzazione
Occorre distinguere con precisione settori economici in cui non c’è alternativa all’immediata socializzazione e settori in cui si spinge per la cooperazione. É sempre la logica politica del FU che guida anche questo processo, se non è ben chiaro che sono alleanze politiche e transitorie che si costruiscono, i “cooperatori” si rafforzeranno nel P, lotteranno per influenzarne e usurparne la direzione e, soprattutto, saranno base per la restaurazione capitalistica.
Proletarizzazione e ricchezza del processo di direzione, formazione e controllo della produzione
La rivoluzione sviluppa una piena “proletarizzazione” della società, il suo programma è quello di realizzare una piena socializzazione della produzione. In questo occorre dare grande peso all’arricchimento del processo di formazione politico-scientifica del proletariato per un effettivo controllo proletario sulla produzione. Altrimenti, senza una lotta per la crescita e affermazione di “rossi ed esperti” ai posti di comando, attraverso la divisione del lavoro tra operai e tecnici, si conservano, e si formano strati sociali non proletari, il cui controllo sulla produzione mina concretamente il processo di transizione socialista, aprendo la strada alla affermazione della nuova borghesia.
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